Nel 1630 avvennero diversi fatti che contribuirono a cambiare la storia nelle nostre valli: Vittorio Amedeo I di Savoia succedeva al padre Carlo Emanuele in un periodo assai agitato dalla "guerra dei trent'anni" (1618 - 1648), il 14 aprile a Pinerolo scoppiava l'epidemia della peste, tanto ben raccontata dal Manzoni nei "Promessi sposi", Pinerolo fu ceduto alla Francia assieme a tutta la riva sinistra del Chisone della val Perosa, essendo già francese la val Pragelato; l'erario dissanguato dalle guerre, lo stato occupato da truppe straniere e la peste, furono realtà troppo grandi per un sovrano senza polso e capacità.
Il suo regno fu comunque assai breve, difatti morì nel 1637 ed essendo il figlio Carlo Emanuele II minorenne, assunse la reggenza la moglie Cristina, sorella del Re di Francia Luigi XIII, ben presto chiamata Madama Reale, la quale era ambiziosa e dissoluta, logicamente filofrancese ed in antagonismo con i cognati Maurizio e Tommaso essi a favore degli Spagnoli.
Il Piemonte fu diviso in due partiti con invasioni, saccheggi e distruzioni, interrotte nel 1642 con un accordo che permise a Cristina di mantenere il potere anche dopo il 1648 quando il figlio Carlo Emanuele II, dichiarato maggiorenne, assunse ufficialmente, seppur non praticamente il governo ducale.
Per quanto riguarda la peste, essa imperversò nelle nostre valli seminando migliaia di vittime.
Secondo il Gilles, che fu testimone della vicenda, il contagio portato attraverso l'Europa dal movimento degli eserciti si manifestò fin dall'autunno 1629 a Briançon, e nei primi mesi del 1630 furono segnalati casi in val Susa ed in val Chisone. A Pinerolo apparve il 14 aprile seminando il caos, data l'inadeguatezza delle conoscenze e delle cure dell'epoca, circa nello stesso periodo si segnalarono casi a Prali e San Germano.
Quelli di Pinerolo ancora sani si recarono in gran numero in val Pellice, zona ancora immune, scatenando anche in quei luoghi l'epidemia. Nell'estate il gran caldo aumentò gli effetti dell'epidemia, i malati non erano più soccorsi, essendo morti tutti i medici che si erano occupati di loro, tra cui il figlio del pastore Gilles, i prodotti della terra non erano raccolti essendo quasi tutti malati o fuggiti.
In agosto i valdesi furono privati di ben sette dei loro pastori rimanendo soltanto più in tre ad ottobre esattamente uno per valle: Gilles, Gros, Barthélemi.
Nell'autunno il contagio si placò, per poi riaccendersi nella primavera 1631, specialmente ad Angrogna che era stata risparmiata l'anno precedente, seminando ancora un gran numero di morti, per poi cessare definitivamente a fine luglio senza che i rimedi empirici, le pratiche strambe, le varie magie e ed esorcismi fossero serviti a limitarne gli effetti.
In val San Martino morirono circa 1500 valdesi e 100 cattolici, in val Perosa 2000 valdesi, a Roccapiatta 150, 6000 in val Pellice di cui 800 a Torre che ebbe 150 famiglie del tutto estinte, 100 i morti fra i cattolici compresi alcuni monaci.
I morti di cui sopra comprende i soli abitanti delle valli, non riguarda un gran numero di stranieri, soldati, vivandieri e altri viandanti che furono sorpresi dal male.
Un quadro della situazione post peste nelle valli è ricostruito con precisione dal frate Teodoro di Belvedere nel 1636 che scrive di 7 famiglie di eretici e 10 di cattoliche rimaste a San Martino, 27 in Prali, 20 in Maniglia, 35 in Salza, 32 in Rodoretto, 30 in Riclaretto tutti eretici, 52 in Faetto più 6 cattolici, 74 a Massello, 43 in Chiabrano, 117 in Bovile, a Traverse 10 eretiche e 8 cattoliche, in Pramollo 100, San Germano 40, Villar 50, Pinasca e Inverso 150 eretiche e 20 cattoliche Perosa è terra tutta di cattolici.
Per circa 791 famiglie che falcidiate dalla peste non contano più di 5 teste a famiglia per un totale di circa 4000 anime.
Vi furono conseguenze naturalmente anche nel campo economico, specialmente per quanto riguarda le zone abitate tutto l'anno nelle alte valli, con la riduzione della popolazione molti villaggi furono abbandonati diventando abitazioni occasionali per i lavori estivi.
Nel campo ecclesiastico vi fu il rinnovamento quasi completo del corpo pastorale con elementi Francesi e Ginevrini, vennero così introdotti nuovi metodi e nuovi costumi, fu l'abbandono quasi definitivo della lingua italiana nella vita della chiesa, fino a quel momento le valli erano state praticamente bilingui, difatti i salmi cantati nei templi erano in francese ma i pastori predicavano in italiano. Luso del Francese come lingua ecclesiastica e come lingua madre dei valdesi allargava il solco che già li separava dai loro compatrioti piemontesi.
Come abbiamo visto Pinerolo con la riva sinistra della val Perosa fu ceduto nel 1630 alla Francia, nella restante riva destra e nella val Germanasca, rimasti piemontesi, nacquero così nuovi Comuni tra i quali Inverso Pinasca e Chianaviere.
Dopo un periodo di relativa tranquillità, nel '600 ricominciarono le repressioni, questa volta durissime, "Pasque Piemontesi, o Primavera di sangue" 1655.
(A seconda della religione dello storico scrivente, si usano i due termini sopraccitati. Mentre lo storico sabaudo chiama Pasque Piemontesi gli accadimenti perché il Piemonte aveva da subito adottato il calendario gregoriano (1582), in quanto promulgato dal Papa, nel quale la Pasqua cadeva il 15 aprile 1655, i protestanti ovviamente, in analogia a tutto il movimento protestante europeo, si servivano ancora di quello giuliano, in cui la Pasqua cadeva il 28 marzo, i cantoni Svizzeri adottarono il calendario, tuttora in uso, solo nel 1701, mentre gli anglicani nel 1752).
Il marchese di Pianezza, ministro di Carlo Emanuele II, con i suoi 4000 uomini, mise a dura prova la resistenza dei valdesi, che però trovarono la forza di reagire, animati da Giosuè Javanel, un semplice contadino che divenne capo e anima della guerriglia quando ormai tutto pareva perso. Il 18 agosto 1655, anche grazie all'intervento delle potenze europee protestanti, furono firmate le "Patenti di Grazia" che ristabilivano la situazione a prima delle repressioni del Pianezza. In pratica tutto l'operato del marchese non aveva ottenuto effetto, se si trascura il numero dei morti e la distruzione di interi villaggi. (In una relazione valdese del 1656 è riportata la cifra di 1712 "massacrati dei due sessi").
Naturalmente le relazioni ducali parlano di esagerazioni e di mala fede, ma bisogna anche aggiungere alla lista 148 bambini sottratti ai genitori, con la scusa di essere orfani, e destinati ad essere allevati alla fede cattolica.
Il 18 ottobre 1685 Luigi XIV revoca l'editto di Nantes (Emanato da Enrico IV nel 1598). In tutta la Francia, e quindi anche nella val Pragelato e sul versante sinistro della val Perosa, la revoca vietava il culto riformato, ordinava la demolizione dei templi, esiliava i pastori, vietava ai protestanti di abbandonare il paese. Scomparvero così i templi di Pinasca, Perosa, Villar, i protestanti di questi paesi subirono atroci violenze, l'unica scelta era di abiurare e farsi cattolici.
Nonostante il divieto d'espatrio e la stretta sorveglianza ai confini, molte famiglie della val Chisone continuarono a seguire il culto valdese a San Germano e in valle San Martino, territori piemontesi, altri si trasferirono definitivamente sulla riva destra. Risale probabilmente a quel periodo l'insediamento dei Costantino dei Lageard, dei Griset e dei Maurin.
Il giovane Duca Amedeo II (diciannovenne all'epoca essendo nato nel 1666) cercò dapprima di resistere alle minacce di suo zio Luigi XIV Re Sole, che voleva annientare il protestantesimo, emanando a sua volta un editto (4 novembre 1685) che vietava ai valdesi piemontesi di aiutare i correligionari della val Perosa pena 10 anni di galera. Ciò allo scopo di dar tempo al Ferrero, ambasciatore piemontese a Parigi, di agire per vie diplomatiche come risposta alle sempre più pressanti richieste dell'ambasciatore francese a Torino il D'Arcy, ma poi cedette e il 31 gennaio 1686 emanò a sua volta un editto simile a quello di Nantes, e il 9 aprile un secondo editto nel quale intimava l'emigrazione in massa della popolazione valdese o l'abiura.
Enrico Arnaud, francese nato Embrun ma pastore a Pinasca fino alla revoca dell'Editto di Nantes, fu l'animatore del partito favorevole alla resistenza, infine la sua tesi prevalse e la maggioranza decise di resistere.
Il 21 aprile 1686 avevano inizio in tutto il territorio delle tre valli le operazioni militari; Amedeo di Savoia si recò a Bricherasio da dove diresse personalmente le operazioni. Le truppe ducali, alla diretta dipendenza di Don Gabriele di Savoia zio del Duca, comprendevano otto reggimenti, venti compagnie di guardie e altri reparti regolari per un complessivo di 4529 uomini, cui va aggiunto un numero imprecisato di milizie volontarie, tra cui si distinsero per particolare zelo e ferocia quelle di Mondovì. Le truppe francesi messe a disposizione da Luigi XIV e comandate dal Generale Catinat comprendevano cinque reggimenti di fanteria, tre di cavalleria, e tre di dragoni, complessivamente circa 4000 uomini.
Un totale quindi di quasi 10.000 soldati seguiti da muli, zappatori, guastatori ed inservienti vari, pronti ad un'azione dura e decisa contro i valdesi.
All'alba del 22 aprile una colonna di 1200 uomini agli ordini del colonnello Mélac, passando per il vallone del Selvaggio, giunse a Bovile dove massacrò, incendiò tutto l'esistente. Nel frattempo Catinat, col resto delle truppe, mise a ferro e fuoco Clot di Boulard, proseguì fino a raggiungere Las Arà, qui raggiunto da Mélac che intanto aveva devastato Riclaretto. Dalla val Pellice risalirono il Parella e don Gabriele di Savoia. Con questa manovra a tenaglia la difesa dei Valdesi crollò in pochi giorni. Poi iniziò il sistematico rastrellamento per stanare coloro che si erano rifugiati in grotte o boschi. A fine maggio tutti i valdesi, che non erano morti, erano stati imprigionati nelle carceri piemontesi.
Quali furono le perdite della popolazione valdese? Dai resoconti di parte ducale, circa 1000 erano state le vittime in val Perosa-Sanmartino, mentre 600 in val Pellice, si aggiungano i giustiziati ed impiccati con processi sommari (ogni testa di valdese sorpreso con armi era pagata 43 lire e 10 soldi). Si può calcolare in circa 2000 le vittime della campagna di guerra. Dei cattolizzati a partire dal 31 gennaio, e dei fuggiti in qualche parte del Piemonte, della Francia e della Svizzera, oltre che dei numerosissimi ragazzi e bambini rapiti alle famiglie, il numero totale dovrebbe essere di circa 3000. Se quindi la popolazione valdese delle Valli, prima delle ostilità, era di 13.500 - 14.000 persone circa, bisogna calcolare in circa 8.500 i valdesi superstiti trascinati in 14 carceri Piemontesi. Un piccolo numero, nella val Pellice scampa, i cosiddetti "invincibili", 2 - 300 in tutto, che con improvvisi attacchi saccheggiano e seminano il terrore tra i nuovi occupanti delle loro ex terre.
Alla fine il Duca scende a patti permettendo loro di espatriare in Svizzera con le famiglie liberate.
Tutti i beni dei valdesi furono venduti all'asta, molti acquistati dai cattolici e cattolicizzati del posto, altri da persone provenienti dalla pianura. Non bastava naturalmente confiscare e vendere i beni, ma occorreva anche ripopolare le valli. Alla fine del 1687 gli immigrati in val Perosa erano 1268, mentre nella val Germanasca 1837.
Il 4 giugno 1686 il conte Gilberto di San Martino chiedeva ed otteneva l'affidamento dei beni di tutta la sponda destra del Chisone da Inverso Porte ad Inverso Pinasca.
Il 25 settembre 1686 Vittorio Amedeo II varava le patenti, dove veniva reinstaurata la religione cattolica.
Il 3 gennaio 1687 a causa delle pressioni delle potenze protestanti e per motivi economici, Vittorio Amedeo II aprì ai valdesi le porte delle prigioni consentendo il loro espatrio. Quindi i superstiti, in condizioni pietose, circa 2750, trovarono rifugio in Svizzera. Alla fine del 1686 rimanevano nelle valli solamente cattolici, nuovi coloni e cattolizzati.
Nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1689 un migliaio di valorosi guidati da Enrico Arnaud s'imbarcava a Prangins sul lago Lemano, per tornare in patria ed affrontare le truppe franco - piemontesi è il glorioso rimpatrio, una lunga marcia che dopo duri scontri e gravi perdite si concluderà felicemente.
Il 4 giugno 1690 è una data da ricordare per i nostri antenati, difatti è il giorno che il Duca Amedeo II di Savoia abbandona l'alleanza con la Francia alleandosi con i nemici di quest'ultima. Contemporaneamente emana l'editto che stabiliva la pace con i valdesi. Per i 300 superstiti valdesi, dopo la "Balziglia" sarebbe stato umanamente impossibile resistere ai franco - piemontesi, la svolta permise, oltre alla loro salvezza, anche la fine d'ogni ostilità verso i valdesi e con l'intervento anche finanziario d'Olanda, Inghilterra, Germania e Svizzera il ritorno dei profughi e di numerosi altri protestanti nelle valli valdesi.
Dopo cinque anni d'assenza, sciagure, lutti, i resti del popolo valdese rientravano nelle loro case distrutte, nei campi deserti e devastati, ma la vita poteva ricominciare. Il numero di coloro che non rimpatriarono fu esiguo, Vittorio Amedeo II fu generoso nell'aiutare gli esuli rientrati nelle valli, non tanto per generosità, quanto per mero calcolo, perché gli servivano uomini leali da impegnare sui vari fronti su cui era impegnato.
L'editto del 23 maggio 1694 detto "di ristabilimento" faceva seguito a quello stipulato all'Aja il 20 ottobre 1690 che prevedeva la reintegrazione dei valdesi nello status quo anteriore al 1686; in più si permetteva ai rifugiati francesi di abitare le valli, ma di stabilirvisi definitivamente soltanto a chi fosse uscito per motivi religiosi, e i valdesi della val Pragelato (francese) sarebbero potuti restare nelle valli sabaude solo per 10 anni.
Ai valdesi l'editto garantiva il riacquisto dei loro beni, i nuovi abitanti, che li avevano acquistati dal fisco, erano rimborsati, ma quest'ultimi al ritorno dei vecchi proprietari avevano precipitosamente abbandonato le valli.
L'editto del 1694 provocò fortissime reazioni a Roma, e fu dichiarato nullo da Papa Innocenzo XII, ma il Duca non si fece impressionare e fece contrapporre immediatamente un decreto del Senato torinese che proibiva la pubblicazione della Bolla del Papa.
Ristabiliti nelle Valli sotto il profilo della tolleranza religiosa, occorreva ripristinare per i valdesi tutta la situazione delle proprietà, molto complicata, oltre che dall'esproprio dei nuovi acquirenti del 1686 - 87, dall'enorme quantità di successioni che si erano prodotte per gli immensi vuoti creati dalle persecuzioni. Intere famiglie si erano estinte, i giovani in gran numero erano ancora assenti, la maggior parte dei testamenti non era stata fatta. Si provvide anche a questo problema con un immane lavoro di censimento di tutta la popolazione, d'atti noti, e di revisioni catastali, affrontati a seguito di un ordine ducale del 30 aprile 1697.
La guerra si trascinò col suo seguito di danni e di morti, fino al 1695, interessando soprattutto la val Chisone ed il Pinerolese, fino a che il Duca firmò un armistizio con la Francia il 29 agosto 1696.
Alla firma della pace (Trattato di Ryswick, 1697) Vittorio Amedeo II riacquistò Pinerolo e la riva sinistra del Chisone fino a Perosa, quelle terre erano state abitate dai valdesi poi cacciati con la revoca delleditto di Nantes, ma il Duca non trattò questi come aveva fatto per quelli della riva destra e della valle S. Martino, ma vendette i territori al Conte Piccon della Perosa.
Richiamandosi a quanto segretamente convenuto con Luigi XIV il 29 agosto 1696, (divieto di contatto tra valdesi delle valli e di Pragelato), il 1° luglio 1698, il Duca emanava un editto il cui spirito e contenuto erano nettamente intolleranti. Esso colpiva in particolare un numero notevole di famiglie provenienti dal territorio francese, tra le quali quella d'Enrico Arnaud perché nato ad Embrun. Il nuovo editto riguardava oltre 3000 persone, che allo scadere del termine (30 agosto) partirono a piccoli gruppi verso la Svizzera per poi emigrare definitivamente in Germania specialmente nel Württemberg dando origine alle colonie attualmente esistenti (Gross-Villar, Klein-Villar, Pinache, Pérouse, Luserne, Bourset, ecc.)
Lo stesso destino toccò ai valdesi della val Pragelato che dopo un breve periodo di tolleranza dovettero espatriare (1730).
Nei decenni seguenti il duca ed i suoi successori furono sovente impegnati in guerre. Molti valdesi, spinti dall'amore per la loro terra, dalla devozione verso i loro sovrani e dalla necessità quotidiana, combatterono in compagnie di milizie ducali con coraggio ed esperienza di guerra alpina al punto che un ufficiale disse di loro: "non si può sapere se i valdesi facciano la guerra per vivere o se vivano per fare la guerra".
Il grave salasso aveva impoverito le valli di notevoli forze materiali e spirituali, essendo partiti anche sette Pastori, i sei rimanenti si occuparono dei 5-6 mila residenti rimasti, e il Duca permise l'arrivo d'otto Pastori dalla Svizzera, il che come abbiamo già visto consolidò l'uso del francese nelle Valli.
A complicare le cose scoppiava di lì a poco la guerra di successione in Spagna, ed il Duca si schierò ancora una volta contro la Francia, e nel corso della quale le nostre valli furono teatro delle operazioni, ed i valdesi tornavano comodo, difatti nell'ottobre del 1703 il Duca chiedeva ai Pastori di formare compagnie, accogliere tutti i francesi rifugiati ed esortarli ad unirsi alle nostre truppe. Una bella faccia tosta il nostro Duca con tutto quello che la coscienza avrebbe dovuto ricordagli circa la sua condotta verso i rifugiati!
Tornò anche E. Arnaud dalla Germania per un paio d'anni a combattere per il Duca e a reggere tra un fatto d'arme e un altro la parrocchia di S. Giovanni.
Gli elementi concernenti la vita economica e sociale nel nostro Comune agli inizi del '700 sono molto scarsi, la situazione non doveva essere molto differente dal secolo precedente. La terra offriva scarsi frutti e la vita doveva essere ben grama, ma stava sopraggiungendo una rivoluzione per i contadini delle nostre valli: l'introduzione della patata e del granoturco.
Il granoturco era già noto in Piemonte prima dell'esilio, e fu probabilmente portato in valle da qualche famiglia cattolica che aveva sostituito i valdesi. Quanto alla patata i valdesi sarebbero addirittura i responsabili della sua introduzione dapprima qui da noi e successivamente nel Wurttemberg, anche se ancora ai tempi napoleonici era considerata un cibo indegno per gli essere umani. Tra i valligiani, la polenta di granturco e la patata furono provvidenziali, per il costante aumento di una popolazione non più decimata dalle persecuzioni o dalle pestilenze, ma obbligata a vivere in una zona limitata e su di un suolo piuttosto ingrato.